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ABOCAR

DUE CUCINE

ABOCAR

due cucine

via Farini 13/15  Rimini

 

visitato il 22 agosto 2014

 

La sprovvedutezza nostra nel non avere riservato un tavolo, ci impedisce di godere del fresco e verdeggiante giardino interno: ci accomodiamo così in un angolo, invero intimo e grazioso, accanto ad uno sparuto pesciolino rosso guizzante da una boule a sezione cilindrica, all'interno della sala centrale, le cui luci potrebbero essere più soffici e il sottofondo musicale – quando, vivaddio, tutti i ristoratori lo capiranno – eliminato. Ma le note dissonanti si fermano qua.

Il personale, attento e puntuale, è cortese senza indulgere nell'affettazione, ogni portata viene illustrata in maniera precisa e giudiziosa ma non epidittica e le curiosità consapevolmente ed esaustivamente soddisfatte.

Assieme ad un benvenuto a base di tè nero, menta e Martini bianco sfila una serie di piccole entrées tra cui sfoglia essiccata di tapioca e maionese al pompelmo rosa, sigaro di pasta fillo al cuore di palma e una polpettina croccante fuori quanto cremosa di cipolla caramellata e pecorino all'interno: come dissimulare una complicata semplicità attraverso l'umiltà del capolavoro.

Seguono canestrini dell'Adriatico con fagiolini e salicornia in acqua di pomodoro, delicatissimo e raffinato, poi avanti, senza indugi o attese – ma, pure, senza fretta – con spaghetti in crema di zucchine e pesto di alici: la sapidità è sapientemente controllata da una setosità fluida e avvolgente, la pasta vivace e nervosa al punto assolutamente esatto di cottura.

La carne del bacalao pare sfogliarsi e sciogliersi al contatto col palato, premurosamente condotta dallo spessore quasi torrefatto della purea di melanzana e rinfrescata dall'emulsione di salvia, profumatissima e balsamica: un piatto che nega ogni ipotesi o ragione di perfettibilità alcuna.

Riguardo alla cucina di terra da sottolineare, perlomeno, i cappelletti al ripieno di petto di manzo a punta di coltello e ristretto di birra: un gusto pieno e centrato dal lungo finale amarotico, audace ed equilibrato assieme.

Terminiamo con una noce di crema alla pesca e crumble di mandorla e avena, piacevole anche per i non amanti il dessert.

Dalla cantina – così come il menù ristretta e mirata, con proposte non banali e abbinabili ai piatti presentati e alcune etichette d'eccellenza, non solo italiane – scegliamo il Blanc de Morgex et de la Salle di Ermes Pavese: la brillantezza quasi smeraldina di un mattino occiduo introduce attraverso i flutti d'un oceano di fiori bianchi, salvia e un sospetto di pera williams; la minerale sapidità rivela di sé tutta la freschezza di un vino nato oltre i mille metri sopra il livello del mare, cresciuto in quel fazzoletto di terra che come dono prezioso un dio gli ha ceduto in dote.

Con il caffè (si possono scegliere anche ottime tisane) arrivano altresì piccoli gioielli sottoforma di pepite alla mandorla e cardamomo, dolce saluto prima dell'arrivederci.

A meno di un anno dall'apertura, Abocar si inserisce a pieno titolo tra i migliori indirizzi della città, per una cucina contemporanea non scontata e interpretata in modo seducente, ma liberata da certe pretenziose zavorre alle quali siamo spesso adusi e in cui – accadimento affatto in controtendenza, come già lamentava Paolo Conte in una canzone di qualche tempo fa, dove a “torta di mais” e “pesce veloce del Baltico” corrispondevano polenta e baccalà – si trova più nel piatto rispetto a quanto scritto in carta.

 

 

 

© 2014 Nicola Evangelisti - Alberto Gross

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